HO TOCCATO CON MANO

Mercoledì 15 aprile (1998) sveglia alle 3 per andare a Torino. Non avevo praticamente dormito tutta la notte dalla emozione per ciò a cui avrei assistito la mattina dopo, e anche dal timore di non essere all’altezza del compito che avevo accettato quando martedì sera mi aveva telefonato il mio amico Carlo: mi proponeva di essere a Torino alle 5,30 del giorno dopo per fotografare, unico fotografo ammesso, nientemeno che la cerimonia dell’arrivo in Duomo e dell’ultimo srotolamento della Sindone, alla presenza del Card. Saldarini e di pochissimi altri.

Ultimo srotolamento, perché poi da sabato il telo sarebbe stato riposto disteso per sempre in una maxi-urna di acciaio e vetro del peso di 2000 kg, a prova di proiettile, di esplosione e di incendio, riempita di gas argon, a temperatura e umidità costanti, controllata da un computer, e assolutamente inaccessibile.
Ero molto preoccupato perché sapevo di essere l’unico fotografo ammesso alla cerimonia e di non poter quindi sbagliare: ma ero anche sicuro che se il Signore mi offriva questa straordinaria occasione, avrebbe anche fatto in modo che tutto andasse bene, anche perché di mezzo c’era Lui, o meglio, la sua "fotografia".

Alle 5 e 30 di mercoledì mattina siamo quindi, Carlo ed io, davanti al Duomo di Torino dove già erano arrivate alcune persone della curia e alcuni operatori della RAI. Cinque minuti dopo arriva il Card. Saldarini con la cassa della Sindone in un’auto scortata dalla Polizia di Stato: la cassa, lunga circa un metro e mezzo, intarsiata di ori e pietre preziose e avvolta in un panno bianco, viene velocemente portata in una sala di fianco al Duomo.

Entriamo dietro al Cardinale. Armato di due macchine fotografiche (più una terza di scorta: una almeno funzionerà!) con due pellicole differenti per questioni di luce, comincio a fotografare mentre il Cardinale estrae il rotolo verde che avvolge il sacro lino.

Il rotolo viene deposto su un lungo tavolo, ne vengono tolti i sigilli,

e viene svolto con molta precauzione.

Centimetro dopo centimetro appare l’immagine, la "fotografia" in negativo di un uomo torturato, frustato, incoronato di spine, inchiodato e morto in croce, di Gesù Cristo, il Figlio di Dio!. Credo che questo sia stato il momento più emozionante e commovente della mia vita.

Sull’identità di quell’immagine io non ho dubbi, perché ci sono ormai moltissimi indizi che la attestano: il riscontro nella narrazione dei Vangeli, la tradizione relativa alla Sindone, l’esame del tessuto, il tipo di polline ritrovato sul lino, la tridimensionalità dell’immagine che esclude si tratti di una pittura, l’impronta di due monete romane sugli occhi, e tante altre ancora: se si fosse trattato di Giulio Cesare (o di un qualsiasi altro personaggio storico) sarebbero bastati agli scienziati molti meno indizi per attribuire senza ombra di dubbio quell’immagine a quel personaggio storico. Ma si sa, quando si tratta di Gesù Cristo o dei Vangeli (vedi i frammenti di Qumran) a molti, anche cattolici e sacerdoti, dà fastidio che ci sia un riscontro storico inconfutabile.

Sono rimasto circa quattro ore di fronte all’immagine di Cristo distesa sul tavolo, completamente indifesa, per riprendere il Cardinale, le autorità, gli studiosi che si avvicendavano ad osservare e a spiegare, per riprendere il servizio e le interviste della RAI e la visita del sindaco.
Si sentiva che la sala era riempita dalla presenza di quel pezzo di stoffa.

Ho così imparato da una delle più grandi studiose mondiali di stoffe tra il V sec. a.C. e il V sec. d.C., la prof.ssa Lemberg, che il lino della Sindone è di una qualità eccezionale, non più riscontrabile ai giorni nostri; dalla spiegazione di Don Ghiberti ho scoperto una per una le tracce del martirio e della morte, il sangue sulla nuca dovuto alla corona di spine, il segno dei chiodi nei piedi, e le ferite delle frustate sul dorso e sul petto (gli studiosi ne hanno contate 120!).

Ho pregato e mi sono commosso di fronte a questa impressionante fotografia del Figlio di Dio morto.

Mentre guidavo tornando a Milano mi chiedevo come mai mi aveva così impressionato e colpito questo avvenimento, quando almeno tutte le domeniche partecipo ad un avvenimento indubbiamente molto più grande, la reale trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo, e faccio anche la Comunione, cioè mi nutro addirittura del Suo corpo. Evidentemente c’è qualcosa che non va, non tanto nella commozione di fronte alla Sindone, comprensibilissima per la eccezionalità del documento, ma nella relativa indifferenza di fronte alla Consacrazione e alla Comunione.

Bene, dato che tutto quello che mi accade ha un significato, e quindi non accade invano, l’incontro a tu per tu con la Sindone mi è servito a vivere con maggior coscienza il sacramento dell’Eucarestia.

Ho avuto bisogno di toccare con mano, come San Tommaso.

Luigi Tardini

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